La Direttiva Bolkenstein sugli stabilimenti balneari: un’occasione per trasformarli in presidi di tutela ambientale.

Replica a On. Di Pietro su Direttiva Bolkenstein

Impossibile escludere un Paese UE dall’applicazione di una direttiva comunitaria. Gli stabilimenti balneari diventino invece un presidio di tutela ambientale e uno ‘sportello’ di promozione del territorio

La proposta WWF:  introdurre nuovi parametri, oltre a quelli economici, nei criteri per l’assegnazione o riassegnazione delle concessioni demaniali degli stabilimenti

“L’Onorevole Di Pietro è troppo esperto in materia giuridica per non sapere che la richiesta di esclusione di un Paese dell’Unione Europea dall’applicazione di una direttiva comunitaria è quanto meno impraticabile. Il problema non è eludere la direttiva Bolkenstein rispetto agli stabilimenti balneari quanto trovare un modo corretto di applicarla. A differenza di quanto sostenuto dall’onorevole di Pietro non è purtroppo sempre vero che gli stabilimenti balneari abbiano garantito una corretta tutela ambientale o gestione della aree loro assegnate, anzi troppe volte sono stati protagonisti di problemi legati ad abusivismi e comunque a non corrette applicazioni delle concessioni loro assegnate”. E’ la replica del WWF Italia alle dichiarazioni dell’onorevole Di Pietro  relative all’esclusione della gestione degli stabilimenti balneari dall’applicazione della direttiva Bolkenstein.

“Il WWF ricorda che gli stabilimenti balneari in concessione sono negli anni più che raddoppiati passando dai 5368 del 2001, ai 12mila attuali, uno ogni 350 metri, per un totale di almeno 18 milioni di metri quadri e 900 km occupati sui 4mila km di spiagge degli 8mila km di coste italiane: un giro d’affari che interessa 30mila aziende e circa 600mila operatori, indotto compreso (Fonte: Dossier WWF, “Spiagge d’Italia: bene comune, affari per pochi”, luglio 2012”).

LA PROPOSTA WWF: NUOVI PARAMETRI PER LE CONCESSIONI
“Per oltre la metà di essi non si può dunque parlare di imprese storiche o attività famigliari multigenerazionali e, dal punto di vista comunitario, poco importa se, al fine di garantire un servizio, questo sia svolto da un soggetto anziché da un altro. Il problema dunque è quello di superare questa visione introducendo, nei criteri di assegnazione o di riassegnazione delle concessioni demaniali degli stabilimenti, criteri diversi dai soli parametri economici che verrebbero considerati nel caso di una rigida applicazione della direttiva Bolkestein. In sostanza, il WWF è d’accordo sul fatto che vengano garantite le piccole imprese legate al territorio e che le nuove assegnazioni non possano essere date solo sulla base della massima offerta del canone da pagare ma non può essere d’accordo sul mantenimento dello status quo che garantisce incondizionatamente tutto e tutti.
“Secondo il WWF le assegnazioni dovrebbero avvenire attraverso la valutazione di un progetto di gestione dove il canone di concessione riconosciuto allo Stato è solo uno dei parametri. Altri parametri possono e devono essere introdotti, quali ad esempio:

  • la gestione ambientale non solo delle aree affidate ma anche di quelle limitrofe su cui può ricadere l’impatto delle attività;
  • progetti di riqualificazione ambientale o naturalistica;
  • l’adozione di parametri di efficienza energetica;
  • l’utilizzo di prodotti a km zero legati al territorio;
  • la promozione di beni culturali o ambientali del contesto in cui lo stabilimento opera.

Insomma un progetto dove lo stabilimento sia uno sportello di informazione e promozione e un presidio di tutela ambientale. Per fare questo occorre discutere in modo realistico, affrontare correttamente il tema e non pensare di poterlo eludere con iniziative discutibili sotto il profilo del diritto comunitario”.

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